[Only Italian version] di Stefano Sabene, estratto dal Saggio pubblicato in “Musica e Società” – Ed. Solfanelli 2011

[...] Poniamo il punto d’inizio di questa vicenda in quel cenacolo di letterati e musicisti attivi a Firenze noto come Camerata de’ Bardi, dal nome del Conte Giovanni Bardi, il nobile fiorentino che promosse negli ultimi decenni del ‘500 il movimento artistico e culturale che forse inconsapevolmente portò alla genesi di un nuovo linguaggio musicale. Musicisti come Giulio Caccini, Jacopo Peri, Vincenzo Galilei (liutista, padre di Galileo), Emilio de’ Cavalieri, letterati come Ottavio Rinuccini e Girolamo Mei, sono alcuni protagonisti di questa stagione carica di tensione creativa. E’ qui che matura il momento di rottura con il mondo sonoro della Prima prattica, formalizzato nella pubblicazione de Le Nuove Musiche (1602, la stampa indica l’anno 1601, ma si riferisce al vecchio Calendario) di Giulio Caccini, che introducono alla Seconda prattica. Vincenzo Galilei nel suo Dialogo della musica antica e della moderna, già nel 1581 enunciava, sebbene su un piano squisitamente teorico, i principi secondo cui lo stile monodico era destinato a destituire nella pratica musicale il vecchio contrappunto. [...]

Partitura di CacciniLa Camerata de’ Bardi: nascita dello Stile rappresentativo

[...] E’ quindi con i musici della Camerata fiorentina che il processo di polarizzazione verso le parti estreme della composizione giunge alle estreme conseguenze.Questo fatto, da solo, già prefigura una serie di circostanze che ci portano immediatamente in una dimensione “scenica”. La voce, denudata dell’apparato che la rende parte di un sistema complesso nel Madrigale o nel Mottetto rinascimentale, diventa di colpo personaggio, azione, recitazione. In ultima istanza diventa Melodramma. Non basta più al cantante, e ancor prima al compositore, una semplice trasposizione sonora del testo, siamo d’ora in avanti in un nuovo orizzonte espressivo, tutto da scoprire. Come accade all’esploratore che giunge in vetta a una nuova cima, s’apre ora alla vista del musico un territorio nuovo, del quale è impossibile anche solo intravedere i confini.La stessa prefazione alle citate Nuove musiche di Giulio Caccini è illuminante da questo punto di vista. Pagine e pagine di meticolose indicazioni al cantante, quasi con l’affanno di non riuscire a rendere con le sole parole e con la notazione musicale – a questo punto quasi inadeguata nel rendere segno il nuovo suono – questa nuova dimensione vocale ed espressiva. Il Recitar cantando, così verrà chiamato il nuovo stile, s’impone ormai come una realtà, in cui il canto solistico emerge come elemento essenziale, che esige un approccio vocale innovativo, non solo dal punto di vista espressivo ma anche nello sviluppo di una specifica tecnica vocale. Non a caso le due figure di maggiore spicco della Camerata sono Giulio Caccini e Jacopo Peri, entrambi virtuosi di canto, capaci di esprimere nelle loro esecuzioni i nuovi affetti. E’ il loro un nuovo modo di concepire la stessa vocalità, che deve muovere l’ascoltatore alle passioni del personaggio che interpretano, che deve avvincere, sorprendere, commuovere.Elemento onnipresente lungo l’intero arco dello sviluppo del melodramma, riscontrabile da questa prima fase sperimentale fino a Puccini, è la potente tensione espressiva che la monodia riesce a imprimere al canto, e che rende possibile trasmettere al pubblico le passioni del protagonista, si tratti di Orfeo o di Butterfly, Figaro o Rigoletto. [...]

Claudio Monteverdi

[...] Un cenno sul primo musicista in grado di assumere in sé i nuovi canoni stilistici e a produrre i primi capolavori: Claudio Monteverdi. Non partecipò attivamente alla fase degli esordi della monodia, ma più d’ogni altro musico del suo tempo Monteverdi fu dotato d’un autentico spirito drammatico, potentemente teatrale. I suoi personaggi, anche se si muovono in un ambito lessicale ancora in formazione, hanno il carisma della verità scenica e sanno trascinare l’uditorio nel vivo del dramma, basti pensare agli esiti di forme ardite e sperimentali cui giunge il compositore in lavori come Il Combattimento di Tancredi e Clorinda (mettendo in musica il XII Canto de La Gerusalemme liberata del Tasso), un’azione scenica d’una modernità inaudita. Il compositore stesso, descrivendo la rappresentazione veneziana del 1626 riporta l’impatto emotivo che investì il pubblico presente, che finì per “gettar lacrime”. Un’approfondita e puntuale analisi della produzione monteverdiana esula ovviamente dalle nostre finalità, c’interessa piuttosto metterne in luce alcuni aspetti. La verità espressiva dei personaggi che animano le opere di Monteverdi è frutto di un evidente preventivo studio delle passioni, degli stati d’animo, delle pulsioni di cui sono portatori. Solo dopo questo prezioso lavoro preparatorio il testo letterario si trasforma in gesto sonoro. E’ questo approccio, assolutamente moderno, a portare Monteverdi ad acquisizioni sempre nuove e spesso sorprendenti: dissonanze senza preparazione, intervalli melodici estremi, soluzioni orchestrali assolutamente innovative. Ogni nuovo effetto, ogni soluzione notata in partitura, non è mai fine a sé stessa, ma viene introdotta esclusivamente in funzione espressiva. A questo proposito occorre sottolineare come Monteverdi sia il primo compositore a intuire le potenzialità dell’organico orchestrale a fini scenici. Nelle sue partiture è assai attento nell’indicare destinazioni strumentali precise, in un’epoca in cui l’intercambiabilità degli strumenti era ancora prassi comune. Introduce inoltre delle vere e proprie novità ed effetti strumentali speciali, come ad es. il tremolo o il pizzicato per gli archi, aprendo nuovi scenari allo sviluppo in senso moderno dell’orchestra. Monteverdi è dunque il musicista che apre la grande stagione del melodramma, dal magma incandescente che fuoriesce quasi incontrollato dalla fucina della Camerata fiorentina, questo genio estrae la materia viva che generazioni successive di compositori continueranno a plasmare. [...]